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domenica 17 aprile 2011

Plutarco vegetariano

Scritto da Maria Torelli Cibo, Spiritualità e salute su Ecoblog



Plutarco l’animalista

Nelle opere dell’autore greco un modernissimo rispetto per la vita animale

Plutarco di Cheronea, vissuto fra il I e il II secolo dell’era moderna, fu uno scrittore prolifico e un sacerdote del tempio di Apollo a Delfi. Oltre alle celebri coppie di Vite Parallele (Bioi Paralleloi), della sua produzione ci sono giunti moltissimi brevi saggi di argomento vario, noti in blocco con il titolo latino di Moralia (Opere morali). In diversi di questi, Plutarco ci motiva la sua avversione alla dieta carnea, al maltrattamento degli animali e la sua convinzione che la specie umana non sia affatto la più importante ed intelligente. In definitiva, una voce contrastante con quelle che della vita animale, ma anche di quella degli schiavi e dei prigionieri di guerra, facevano solo una voce in bilancio. Celebre è infatti il commento negativo dell’autore nella vita di Catone il Censore, il quale, nel suo De agri cultura, suggeriva di liberarsi di schiavi e animali vecchi o malati.


Due brevi trattati vertono specificamente sul l’uso di mangiare carne, ovvero De esu carnium I e II. Il primo prende spunto dalla nota interdizione di Pitagora nei confronti della dieta carnea, e si apre con una vivida descrizione della macellazione degli animali: l’autore, disgustato, si chiede perché cercare nutrimento in un atto tanto crudele e cruento. Passa poi ad esaminare un’altra obiezione comune dei carnivori, cioè che i primi uomini mangiavano la carne perché non avevano altra fonte di sostentamento, e puntualizza che, comunque fosse in passato, adesso lo spargimento di sangue è inutile perché è possibile nutrirsi in modo altrettanto gustoso e salutare con un regime vegetariano (Molto moderno, se si pensa a quanti obiettano alla dieta vegetariana affermando che “l’uomo mangia carne dalla preistoria”). Non è giusto, continua Plutarco, privare della vita e della luce del sole creature che la Natura ha creato piene di bellezza per un mero atto di golosità. Gli antichi avevano già capito che l’uomo non è “costruito” per essere carnivoro, i suoi denti e il suo apparato digerente lo dimostrano: se qualcuno pensa di essere costituzionalmente fatto per nutrirsi di altri animali, che li uccida egli stesso a mani nude, mangiando la carne cruda come i leoni e i lupi, polemizza l’autore.



La dieta carnea non è solo dannosa per l’organismo umano, ma abbrutisce anche gli animi, secondo Plutarco, rendendo gli uomini ottusi e tardi. Inoltre, colui che si dimostri generoso e amorevole nei confronti degli altri esseri viventi lo sarà anche nei confronti dei suoi simili.


Il secondo pamphlet sull’argomento si apre con un’aspra critica alle tecniche di macellazione che si praticano per rendere più saporita o morbida la carne: pratiche crudeli e vergognose perché vanno ad aggiungere all’assassinio anche indicibili torture. Gli animali non solo hanno sensi e percezione, ma anche immaginazione ed intelligenza. , sostiene l’autore con il supporto di citazioni da poeti e filosofi della storia greca, soprattutto Empedocle e Pitagora, entrambi vegetariani. Rifacendosi appunto a questi ultimi e alla teoria della trasmigrazione delle anime, egli argomenta che, sebbene questa dottrina non sia stata provata, è sempre meglio astenersi, nel dubbio, dal rischio di uccidere un parente o un amico. Giova notare che, se per buona parte degli occidentali e dei cristiani questo ragionamento è privo di fondamento, è invece assolutamente accettato presso altre culture e religioni.


Sul già citato argomento dell’anima razionale degli animali, asserita anche da un filosofo-naturalista come Teofrasto, Plutarco torna in un altro noto trattato, il dialogo De sollertia animalium (Sull’intelligenza degli animali) in cui critica la teoria degli stoici che le bestie siano solo materia bruta, priva di sentimenti e razionalità, pensiero purtroppo molto condiviso ancora oggi. Eppure i coccodrilli sacri dei templi egizi riconoscono chi si prende cura di loro e molti pesci sono in grado di eludere la pesca con gli ami o di liberarsi di questi se hanno abboccato all’esca. Alcuni pesci che vivono in banchi, come i pesci pappagallo, spiega l’autore, addirittura aiutano i compagni a liberarsi dagli ami in cui sono restati impigliati, dimostrando non solo intelligenza, ma anche una forma di fratellanza e sostegno. Il dialogo continua su questa falsariga, elencando esempi di animali che indicano l’esatta data degli equinozi e dei solstizi, che mettono in atto elaborate tecniche di caccia o amorevoli cure parentali, dimostrando la loro “competenza” in materia di scienza, tecnica e solidarietà.


L’ultimo dei Moralia che citeremo è un altro dialogo, il Grillo, in cui Plutarco immagina che Odisseo, restituita ai compagni la forma umana, chieda a Circe di poter ritrasformare anche gli altri greci (dei barbari, evidentemente, non gli interessava!) che vivevano sotto sembianze animali sull’isola della maga. Circe acconsente a patto che l’eroe chieda prima il permesso agli interessati: restituisce la parola ad uno di questi, Grillo – Gryllos, nome parlante, visto che per i greci il verso del maiale era gry -, perché possa spiegare al re di Itaca le sue ragioni. Ed il maiale parlante stupisce Odisseo rifiutandosi di tornare uomo, dal momento che la condizione umana non è affatto superiore a quella animale, anzi è infelice e innaturale. Gli animali hanno le stesse virtù degli uomini (giustizia, coraggio, moderazione) e le hanno per natura, senza bisogno di impararle o senza fingerle per calcolo, tuttavia sono in grado di apprendere esercizi e acrobazie, e di insegnare cose nuove ai propri figli; non fanno la guerra se non per difendersi e non desiderano ricchezza o potere.


L’opera è chiaramente di intento provocatorio e satirico, ma, almeno in parte, rispecchia il pensiero di Plutarco e di molti altri antichi che consideravano tutta la Natura degna di ammirazione ed amore, e, soprattutto, l’uomo come parte di essa e non come suo signore e padrone.



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